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La storia dimenticata di Francesco Kalin l’esploratore triestino che sfidò gli abissi

DETTAGLI RECENSIONE
Data Venerdì 27 Novembre 2020
Autore Pietro Spirito
Fonte IL PICCOLO
LA RECENSIONE di Pietro Spirito su IL PICCOLO di VENERDÌ 27 NOVEMBRE 2020
La storica Valeria Messina ricostruisce in un saggio la vicenda dell’inventore di battelli subacquei tra gli anni Venti e Settanta
Nel buio sul fondo del lago di Como, a 135 metri di profondità, semisommerso nel fango, c’è il relitto di uno dei primi prototipi di batisfera, uno dei mezzi in acciaio per le esplorazioni sottomarine muniti di dispositivi per comunicare con la nave appoggio. È lì da un secolo esatto, e dentro ci sono resti del pilota che vi era imbarcato, Riccardo Schena, che al momento della tragedia aveva solo ventun anni.Nessuno sa come sia fatta esattamente quella batisfera, l’unica cosa certa, a parte il dramma che l’ha colpita, è il nome del suo inventore, il triestino Francesco Kalin. Oggi a Trieste pochi sanno chi era Francesco Kalin, niente in città lo ricorda, eppure Kalin è stato uno dei pionieri dell’esplorazione a grandi profondità. Tanto che nel 1960 Jacques Piccard, l’esploratore che per primo toccò con il batiscafo “Trieste” il punto più profondo del pianeta a undicimila metri nella Fossa delle Marianne, a Trieste volle incontrare e stringere la mano a Francesco Kalin. E forse la sua memoria sarebbe rimasta ancora nell’oblio se la storica Valeria Messina non ne avesse ricostruito la vicenda con un certosino lavoro di ricerca negli archivi di mezza Italia, raccontandola adesso nel libro, ricco di illustrazioni, “Cent’anni in fondo al Lago. Storia di un misterioso relitto nel lago di Como e del suo inventore Francesco Kalin” (Edizioni Efesto, pagg. 149, euro 18).
“Ingegnoso, coraggioso, sognatore”: così in prefazione Fabio Vitale, dell’Historical Diving Society che ha patrocinato la pubblicazione, definisce Francesco Kalin. La cui avventura inizia a Trieste il 25 aprile 1889, quando il futuro esploratore nasce da Francesco e Francesca Kovacer. La famiglia proviene da Loäe, oggi in Slovenia, ma Francesco e i suoi fratelli sono italofoni, e all’approssimarsi della Grande Guerra lasciano Trieste per riparare in Italia. Francesco si stabilisce a Milano, ma con l’entrata nel conflitto dell’Italia, in quanto cittadino austroungarico viene internato in un campo di lavoro in Sardegna. Finita la guerra Francesco torna a Milano dove fonda la ditta a conduzione familiare Costruzioni Meccaniche. Si occupa di lavori cartotecnici, grafici e meccanici, ma il suo pallino sono le profondità del mare. “Nato in riva al mare”, dirà, per lui è naturale coltivare “l’idea di ricuperare i tesori affondati e specialmente quelli situati in maggiore profondità”. Sono gli anni pionieristici della corsa agli abissi e al recupero di relitti con i preziosi carichi, la tecnologia permette di osare ciò che fino ad allora è ritenuto impossibile, e Francesco Kalin progetta nuove apparecchiature come “una campana sommergibile la quale, calata in fondo al mare, permette agli operai che si trovano internamente di lavorare indisturbatamente per tempo indeterminato”. Nel 1920 una tragedia segna il lavoro di Kalin. Durante un collaudo, un incidente manda a picco nel lago di Como il prototipo di un Mas, motoscafo armato silurante, della Regia Marina. Francesco Kalin si offre per tentare il recupero utilizzando una batisfera da lui appena progettata, costruita e testata per raggiungere i 180 metri di profondità. L’operazione viene studiata nei dettagli, il Mas si trova a 135 metri, il recupero è possibile. Nella batisfera c’è un unico operatore che, in contatto via radio con la superficie dovrà manovrare per agganciare lo scafo affondato. Durante l’immersione, però, qualcosa non funziona, la batisfera imbarca acqua, e il pilota, il giovane meccanico Riccardo Schena, chiede di essere recuperato. Ma l’argano si rompe, il cavo si spezza e la batisfera ripiomba con il suo pilota in fondo al lago. Inutili saranno i tentativi di recuperarla. Il dramma segna Francesco Kalin, che però nelle sue officine milanesi continua a progettare battelli subacquei innovativi, come un mini sottomarino per recuperare i marinai dai sommergibili affondati, e a lavorare nel campo dei recuperi a grandi profondità. La ditta, cambiando varie volte denominazione, andrà avanti fino al 1970, anno della morte di Francesco Kalin e di suo figlio Franco.
Adesso, è dal 2010 che l’Historical Diving Society, associazione che gestisce il Museo nazionale delle Attività Subacquee di Ravenna, dove è conservata una delle batisfere di Kalin, lavora per cercare di recuperare la batisfera rimasta sul fondo del lago di Como con i resti del meccanico Riccardo Schena. Finora, però, senza successo. La navicella subacquea è ancora lì, con i suoi segreti (non sono stati trovati i piani di costruzione) e la memoria di un coraggioso sognatore triestino che il libro di Valeria Messina contribuisce a riportare in superficie.

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